Se bastasse una presentazione a dire chi sei
Mi chiamo Federica e ho sempre avuto un sogno nel cassetto: fare qualcosa di buono per il mondo.
Quando a 16 anni
circa ho capito che volevo fare l’infermiera, dopo un’esperienza
in una comunità di accoglienza per disabili, è nato subito anche un
forte richiamo a voler svolgere la professione in un contesto
difficile, come quello del terzo mondo.
Avevo sentito
parlare dell’Africa da coetanei che avevano fatto esperienze brevi
tramite la parrocchia del paese in cui vivevo, Santarcangelo di
Romagna. Così ho cominciato il mio percorso di studi convinta che
anche il mio momento sarebbe arrivato. Ed in effetti è stato così,
fresca di laurea, a ventidue anni sono partita per l’Uganda, il
primo passo che cambiò veramente la mia vita. Carica e piena di
aspettative verso qualcosa che aspettavo da sei anni ormai mi sono
trovata a scontrarmi con i duri
contrasti di quella
terra.
La
vastità e la bellezza della natura mi ha abbracciato e aperto il
cuore come poche cose sanno fare, mi sono fatta incantare dalla primordialità di luoghi che
sembrano non essere mai stati toccati dalla mano dell'uomo.
Mentre camminavo dal basso la terra rossa spingeva i miei passi e in cielo le stelle luminose guidavano i miei sogni.
Lo
schiaffo in pieno viso che mi ha riportato alla realtà non tarda
però ad arrivare, questa contrapposizione infinita di un luogo dalla
bellezza secolare, racchiude la vergogna del nostro mondo
occidentale.
Bambini
senza futuro, abbandonati a loro stessi, bambini di 6-7 anni già
grandi, bambini adulti, bambini che ti fermano ai semafori con gli
occhi persi, avvolti nel torpore di chissà quale sostanza, per
dimenticare che un futuro non ce l'hanno e che forse il mondo non è
sempre un posto che merita di essere vissuto.
Profughi
ammassati in fuga dalla guerra in un campo dove le uniche cose che
volano libere sono le bandiere delle Nazioni Unite.
Innumerevoli
persone per strada che cercano di venderti qualunque cosa per portare
un pasto caldo a casa.
Un grande e pesante tassello si carica sul mio zaino di consapevolezze.
Così
spinta da tutta questa verità che si faceva spazio, sono partita a
distanza di un anno per un esperienza più specifica e centrata con
il mio obiettivo. Anche questo credo sia fondamentale nella ricerca
di sè stessi e della propria strada: chiedersi sempre chi si è e
cosa si vuole.
Desideravo tornare ma volevo mettermi in gioco, smettere di essere spettatore.
Così ho conosciuto la realtà di All Souls Mission a Mutoko in Zimbabwe e sono partita per qualche mese con una collega ostetrica, ora grande amica, Roberta.
L’esperienza
mi ha dato una chiara e onesta visuale sulla vita di missione.
Povera, semplice, ma straordinariamente dolce per me.
Un altro
fondamentale tassello si aggiunge al mio zaino.
Intanto
conoscevo Claudio, dapprima amico, con cui ho condiviso esperienze e
lunghe serate passate a parlare di tutto quello che a vent’anni,
con un pugno di sogni e sconfitte in mano, può spaventarti e
salvarti allo stesso tempo.
Non
l’ho mai detto nemmeno a lui ma, quando sono tornata dal primo
viaggio ad All Souls Mission, luogo dove lui era già stato per
un’esperienza breve qualche mese prima, ho pensato che un giorno
sarebbe stato bello tornare insieme, che era la persona perfetta con
cui partire, che avremmo potuto viaggiare il mondo.
La
vita, a volte, ci ha già messo davanti ciò che ci serve, ma noi
ostinati e contrari, proseguiamo una strada che non ci appartiene,
perché non riusciamo ad ascoltarci ed a comprendere che volersi bene
davvero è l’unica strada verso la felicità.
Nessun
progetto, anche se ben costruito e studiato in ogni dettaglio, può
sostituire la passione di una vita vissuta per ciò che si ama.
Ora
come concretizzare tutto questo per un periodo più duraturo?
Non
è stato facile e ho avuto bisogno di tante mani ad aiutarmi,
soprattutto perché quando abbiamo concretizzato nel profondo questo
desiderio dopo qualche mese è scoppiata la pandemia.
E
proprio con la pandemia le domande e il bisogno si sono fatta sempre
più impellenti.
Ma
questa è un’altra storia e chissà, avremo modo di raccontarla.
Vi
lascio con queste parole scritte proprio quando mi trovavo là: