Le piccole cose

Eccoci qua, ancora una volta insieme, a parlare del mondo che sto guardando ogni giorno in questa avventura. Da qua seguo le notizie che colpiscono il nostro caro paese e il resto del mondo e fa strano cercare di descrivere qualcosa.
Ti vorrei chiedere sinceramente di cosa vuoi parlare.
Vorrei capire veramente di cosa hai bisogno in questo momento e soprattutto avere la forza e la capacità di aiutarti con poche parole.
La società è sempre di fretta, con ansie che si provengono sia dall’estero che dall’interno.
La fretta che ancora io sento come immensa differenza qua,

una fretta di voler fare e voler essere.

Quindi oggi ci alzeremo da questo bar, niente birra per noi e ci faremo una camminata. Non ti aspettare una camminata nelle alpi, o chissà che. Sarà la camminata che faccio tutti i giorni da quando sono qua. Mi impiega appena 3 minuti, dal lavoro a casa.
Scrivere, come avrai capito, non è mai stata una mia dote naturale… sarebbe un sogno avere l’abilità, come Tolkien, di descrivere minuziosamente l’ambiente che mi circonda così da trasportarti perfettamente qua con l’immaginazione. Ti chiedo quindi di sforzarti, di usare la tua creatività ed unirla alla mia mediocre abilità descrittiva.
Iniziamo!
Sono le 7 di sera, il cielo rosso fuoco ci ha abbandonato da pochi minuti trasportandoci subito nell’oscurità densa della notte. Le poche luci sono quelle delle stanze dell’ospedale e un piccolo lampione al cancello di ingresso. Ci circonda il silenzio, rotto solo da qualche infermiere che torna a casa dopo il cambio con il turno di notte.
La guardia, dopo aver chiuso il cancello con il lucchetto, si sposta infreddolita verso la veranda dell’ospedale, dove passerà parte della nottata. Una berretta di lana sul capo, un buon cappotto e addirittura un paio di guanti.
Io e te stiamo uscendo dalla cappellina dell’ospedale.
La cappella si trova a pochi passi dall’ingresso, con un tetto in paglia e le pareti in mattoni, ricorda proprio le case tipiche africane.

Questo era l’ospedale da cui tutto questo è partito.
Non c’era nient’altro prima.

Fa pensare come Luisa Guidotti abbia visitato proprio qui i pazienti, alla fievole luce di una candela per anni. Già questo meriterebbe tante parole, e un giorno forse te ne parlerò, ma torniamo a noi.
Immaginati la guardia che ti ho appena descritto.
Per noi non è troppo freddo, infatti sembra una delle prime serate di autunno: pantaloni lunghi, t-shirt e una felpa per il vento. Sorridiamo entrambi pensando a come si vestirebbero qua se iniziasse a nevicare.
Dopo questo sguardo attento a ciò che ci circonda, cominciamo ad avviarci verso casa.
Saranno circa 300 passi.
Ora pensa che io ogni volta che torno a casa da solo cammino sempre con le mani dietro la schiena, giocando con le chiavi di casa e guardando verso il basso, giusto perchè è buio, il sentiero è un po’ dissestato e quindi devo stare attento a rimanere in piedi.
Nonostante siano solo le 7, la giornata volge già al termine, siamo dall’altra parte del mondo e ovviamente ci interroghiamo sulla nostra vita, perché parlandoci onestamente, cosa dovresti fare se non questo?

Dopo pochi passi sul terreno dissestato, con ancora qualche ciuffo verde di erba verde lanciamo uno sguardo a sinistra, dove abbiamo il piccolo cortile dell’ospedale con vecchie giostre per bambini ormai abbandonate dal tempo. Un po’ inquietante onestamente, soprattutto con il calar del sole.
 Abbassiamo la testa di nuovo perché c’è un piccolo albero nodoso i cui rami sono esattamente all’altezza dei nostri occhi, e percorriamo questa strada che da quattro mesi facciamo senza badare troppo a ciò che abbiamo attorno.
Si è perso un po’ lo stupore e si è in parte spenta la magia, ma ecco che qualcosa di diverso ci colpisce. La monotonia della routine è spezzata da una sensazione diversa, che ci assale e ci fa subito fermare. Sono quei momenti in cui una piccola scintilla ci sveglia, un regalo della ormai imminente primavera, che ora uso per descrivere questo quinto mese. Un profumo buonissimo ci ha riempito le narici e i polmoni. Un qualcosa che non ci si aspetta di sentire qua. Ci voltiamo, ed ecco che quell’albero che abbiamo scansato con disinteresse ci attrae. Su quei rami ci sono dei fiori bianchi, li riesci a vedere? Piccoli, con i pistilli sottili. Ecco da dove viene questo buon profumo! Ci rendiamo conto che è un albero di arance.
Non me ne ero mai accorto prima.
Lo avevo sempre ignorato, ma non oggi. Oggi questo profumo ha fatto scattare una scintilla e come di incanto la magia che pensavo svanita è tornata come fuoco impetuoso a pervadermi. È veramente buono. A ripensarci anche ora, come in quel momento, mi sfugge un sorriso. Come mai sorrido? Perché è come se sapessi già che non mi scorderò mai questo albero. Ora, con occhio diverso, possiamo ripartire. Andiamo avanti, altri 20 passi e ancora quel profumo si può percepire nell’aria, e passiamo dall’avere la terra sotto i piedi a delle mattonelle.
Siamo all’ingresso della maternità.
Una luce al neon ne illumina l’entrata chiusa per la notte. Pochi passi e ci troviamo a seguire il nostro sentiero piastrellato tenendo a destra e a sinistra i due edifici dell’ospedale. Ai lati ci sono piccole piante grasse, non più alte di 30 centimetri. Passata la luce al neon abbiamo pochi passi al buio prima che un’altra luce ci colpisca. Ecco che alla nostra destra c’è una finestra. Ogni volta mi sento come quando giri nel periodo natalizio di notte per le strade della città e ci sono ancora delle vetrine illuminate. Nella nostra vetrina ci sono quattro letti, e oggi… ci sono quattro persone. Sono tutte donne, sono tutte neo mamme. Alcune dormono e davanti al viso, tra le loro braccia tengono un involucro di vestiti che sembra un piccolo fagottino. Guardando le altre capisci che quei fagottini sono dei bambini. I loro bambini appena nati.
Vedi i loro volti e cerchi di immaginarti le loro storie.
Capita spesso di vederle guardare quel bambino con occhio così amorevole e un bel sorriso. La bellezza del momento fa, immancabilmente, sorgere sempre una domanda:
Quanti anni ha questa madre?
Non siamo abituati a vedere così tante donne avere figli a 14 anni o poco più. Mi capita di fermarmi, non più di pochi secondi davanti a questa finestra, quasi tutti i giorni. Milioni di domande mi passano per la mente.

Tu cosa penseresti?
Che è ingiusto?
Che è la vita?
Che è cultura?
Che da noi non si fa perché siamo migliori?
Quindi loro sono peggio di noi?

Ed ecco che ancora, quel profumo del nostro albero ci colpisce…le piccole cose.
Quel bambino è bellissimo.
Forse sono troppo abituato alla critica. Forse dovrei iniziare a guardare di più ai piccoli momenti, alle piccole cose.
Questa “vetrina” non la dimenticherò mai.
 Sembra messa lì, all’ingresso dell’ospedale, passaggio obbligato per tutti, proprio per farti apprezzare di più le piccole cose, che alla fine non sono mai piccole.
Per dire che forse, ne vale la pena.
Andiamo avanti.
Il buio inizia a circondarci. Le mattonelle lasciano posto alla stradina sterrata che porta alle case del personale e alle nostre spalle abbandoniamo l’ospedale. Qualche pannello solare sulla destra e dei container. Se c’è silenzio vuol dire che c’è elettricità, altrimenti si sentirebbe il rumoroso motore del generatore a diesel. Se girate per il paese vi capita spesso di sentirlo, anche in capitale dietro ai negozi. Ovviamente l’ospedale non può rimanere senza elettricità e per dei giorni il suono frastornante riecheggia per la missione senza sosta.
Questa sera siamo fortunati. Il silenzio è padrone.
I nostri passi, come piedi sulla sabbia, sono l’unico rumore. Stiamo per abbandonare il container e un albero che in parte copre il cielo. Ora possiamo guardare in alto.
Io mi fermo un attimo.
Miliardi di stelle sopra le nostre teste, e la via lattea fende il cielo da parte a parte. La costellazione dello Scorpione fa da padrona al centro della via lattea, a fianco la Croce del Sud e all’orizzonte, pronta a tramontare una piccola luna crescente. No, non è la luna che vediamo in Italia.
È la prima volta che la vedi? Ti verrà da sorridere forse per imitarla, perché nei primi giorni di luna crescente pare proprio che la luna ci sorrida. Che bel quadro si è formato. Via lattea, costellazione dello Scorpione, Croce del Sud e il sorriso finale della luna.
Un altro ricordo.
Proseguiamo dopo questo climax andando verso casa. Ormai siamo arrivati. Una luce accesa attira la nostra attenzione sulla sinistra. Guardando il cielo e poi per terra non ci eravamo accorti, in quel buio, di essere davanti alla scuola infermieri. Una classe di studenti sta studiando, con guanti e berrette di lana addosso. Il silenzio è rotto al massimo da qualche risata. Andiamo avanti e notiamo sulla strada sterrata un piccolo dosso in cemento, costruito nel 2018 quando venni per un’altra esperienza.
Ed eccoci abbandonare il sentiero per finire sull’erba ormai ingiallita dall’assenza di piogge e dirigerci verso casa mia. Piccola casetta, con una lampadina esterna che illumina d’azzurro la porta di ingresso e la striscia di giardino subito davanti.
Un’altra giornata è finita, e chissà se è stata utile a qualcuno la mia presenza.
Ma quell’arancio mi fa sorridere ancora.

Anche oggi posso fare un piccolo sorriso per le piccole cose che ho avuto.

Strano pensare che ci siano sempre queste cose. La luna e il cielo sono sempre lì, fiori di arancio ne ho sentiti tanti nella vita e mai mi hanno stupito. Tutto quello che abbiamo visto è parte di una routine e rappresenta pochi minuti. Questa grande lezione mi porto a casa stasera. Le piccole cose, con l’occhio giusto, cambiano la mia giornata.
Grazie per aver camminato con me, alla prossima!