La festa dei lavoratori

Ciao mio caro lettore… ancora una volta ti sei seduto al mio tavolo ma oggi non c’è una birra tra di noi. Come mai? Perché ho un magone in gola che nessuna bevanda al mondo potrebbe aiutare a scendere.
Oggi voglio parlare di un argomento che mi tocca personalmente e che mi mette duramente alla prova.
È una tematica che ritengo si debba conoscere e se ne debba parlare il più possibile.
Come mai oggi penso a questo? Perché è l’ 1 maggio. Una data conosciuta anche qua, in questo remoto Zimbabwe, come la festa dei lavoratori.
Una data rossa sul calendario ormai vissuta solo come un possibile weekend lungo per fare qualche uscita. Ovviamente, come forse avrai immaginato, non ti voglio parlare della festa del primo maggio in sé, ma piuttosto del lavoro. Sto per aprire una questione spinosa anche se già sentita, una questione che mi porta a delle riflessioni molto critiche verso me stesso, la società e il mondo. Perché?
Perché nel mondo 160 milioni di bambini e adolescenti sono costretti a lavorare. 79 milioni di bambini svolgono lavori pericolosi. Decine di migliaia di bambini solo in Congo (più di 40 000) svolgono lavori in miniera.
Come mai tutto questo? Perché persone come me e te possano avere un telefono nuovo, un computer o un tablet quando lo desiderano. Migliaia di bambini sono costretti ad addentrarsi nelle viscere della terra, attraverso buchi piccolissimi.
Te lo immagini? No vero? E’ un’immaginazione che costa fatica. Però ti chiedo di fare, per questa volta, uno sforzo.

Prenditi un minuto.

Rifletti su cosa voglia dire. Immagina te stesso, o magari tuo figlio, o un qualsiasi bambino che conosci.
Figurati la scena affollata di visi denutriti e corpicini troppo piccoli, in fila sotto il sole cocente, pronti ad entrare in un buco senza luce, stretto.
Respira l’odore di chiuso, l’aria carica di polvere che riempie i polmoni, le mani troppo piccole per scavare o per tenere in mano picconi.
E poi caricarsi sulle spalle sacchi pieni di rocce e portarli fuori.
Entra con lui in quell’abisso con la consapevolezza che non ne uscirai per le prossime 12 ore.
Entra e scordati di piangere perché le lacrime ti sono state strappate via insieme alla tua giovinezza.
Questo è il tuo mondo, la tua vita e sarà anche la tua prematura morte. E se non ti ucciderà la miniera, quando crescerai sarai un uomo che ha conosciuto solo quel buio, quell’odio e quella prigionia.
La tua vita sarà stata piena solo di sfruttamento e miseria, e se non morirai per problemi di salute, certo ti ucciderà la violenza e l’odio che si celano in un cuore che ha conosciuto solo questo.

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Ne vale la pena?

Vale la pena sacrificare vite umane per avere uno smartphone?
Vale la pena uccidere bambini per avere uno pezzo di tecnologia che in 2 anni sarà già datato e dovrò buttare?
A quanto pare la risposta è affermativa, perché in un clima di silenzio assenso, nessuno fa niente.
Nessuno si indigna più per un tempo significativo da provocare un cambiamento, perché tra 5 minuti avrai letto un’altra notizia dal mondo, o avrai visto un video divertente di un animale che parla.
E così del bambino che hai seguito in fondo alla miniera 30 secondi fa non resterà che un breve ricordo.
E di quest’attimo che ti ho chiesto di prenderti non ricorderai nulla neanche davanti agli scaffali illuminati di MediaWorld, o sullo schermo del tuo pc mentre fai zapping su Amazon, scegliendo un telefono nuovo.
Una sola persona non può cambiare il mondo giusto?

Una sola scelta non fa la differenza. No? Il mondo va così.

Quante volte me lo sono sentito dire.
Mi spiace ma sono cazzate.
Sono scuse che indossiamo come un bell’abito nuovo per non vedere cosa c’è sotto.
Siamo stati abituati a vedere queste immagini passare veloci alla tv, il tempo giusto che basta a trattenere il respiro, per poi il riprenderlo allo spot successivo del nuovo dentifricio.

Se il bambino che entra in quella miniera è nero, non è strano, è così il mondo, se in Asia o in Medio Oriente migliaia di bambini vengono sfruttati per farci avere delle belle magliette low cost da Zara, H&M, Pull&Bear ecc.. o delle belle scarpe della Nike, non ci importa.
Questo è il pregiudizio unito al razzismo, inconscio, che spesso si cela dentro ognuno di noi.
Non pensiamo più a queste persone, come a semplici persone.
Non li guardiamo più nel modo in cui guarderemmo un fratello o un conoscente che è stato in guerra.
Lo diamo per scontato.
Non ci muove più veramente nel profondo.
La guerra in Ucraina ce lo ha dimostrato.
Siamo stati tutti smossi dalle forti immagini, carichi di spirito altruista e ci siamo spesi per raccogliere vestiti e generi alimentari, qualcuno addirittura ha scelto di ospitare profughi di guerra.
Perché quei profughi potremmo davvero sembrare noi.
Eppure di quelli che vengono da ogni parte dell’Africa o dalle guerre (ci sono più di 10 aree nel mondo in cui i conflitti armati causano migliaia di morti ogni anno) non ne vogliamo sapere.
Loro non sembrano noi, non ci identifichiamo, non riconosciamo noi nell’altro, non ci riguarda.
Lo sappiamo tutti che è così ma non frega niente a nessuno.
La nostra società bella, luccicante, ci fa da schermo per non farci vedere il sangue sulle nostre mani.
Come il vestito nuovo, il trucco, e la scena, ci distraggono dal guardarci veramente allo specchio e a renderci conto che ogni scelta che facciamo ha delle conseguenze.

Per mantenere lo stile vita che vogliamo sacrifichiamo altre vite.

Il problema è che non ci sentiamo colpevoli. Ma lo siamo.
Noi chiediamo ad altri di schiavizzare e uccidere per noi.
Io e te siamo colpevoli di schiavismo, sfruttamento e omicidio.

Il nostro silenzio ci rende colpevoli.

Potrai dirmi, come spesso mi è successo, “Non sono io che permetto o decido tutto questo!”, certo ma quando scelgo di continuare a comprare da un brand che per produrre sfrutta bambini, sono complice e anzi incentivo il sistema, aumentando la richiesta in quanto cliente.

Tu puoi fare la differenza.

Tu puoi fare la differenza parlando.
Puoi fare la differenza informandoti.
Puoi fare la differenza con il tuo stile di vita.

Ci sono persone in questo mondo che credono questo, che denunciano e che hanno creato anche brand affidabili. Brand che promuovono la sostenibilità e non sfruttano vite umane.
Fatti sempre questa domanda: questa cosa vale la vita di un bambino?
Purtroppo, c’è un 90% di possibilità che tu ti dimentichi tutto questo.
Probabilmente fra 5 minuti ti starai facendo una bella risata pensando a qualcos’altro.
Ma se sei in quel 10%, e veramente vorrai andarti ad informare, ti dico di pensare sempre che si può cambiare questo mondo.

Tu lo puoi cambiare. Noi possiamo cambiarlo.

Esistono già aziende che si stanno opponendo a queste situazioni, e le denunciano proponendo cambiamenti.

Ad esempio il marchio Fairphone promuove un’ economia sana, duratura e controllata creando smartphone sostenibili.

Ci sono anche brand di vestiario che usano apposite certificazioni per provarne la provenienza. Non comprare più 10 magliette perché ne hai voglia oggi. Spendi invece 1 ora della tua vita per capire cosa stai comprando.
Ogni volta che stai comprando una maglietta o uno smartphone pensa a quel bambino, immagina ancora quella miniera. Immagina quel bambino che non è un nero, ma è un bambino. Può essere tuo figlio, tuo fratello, tuo nipote. Quel bambino è una vita.
Rispettala e salvala.


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