Giornata internazionale dell'infermiere

In molti ci avete chiesto cosa facciamo durante la giornata, insomma come possa essere una giornata tipo qua.

Scelgo il 12 Maggio per raccontare perché la data di oggi mi sta particolarmente a cuore, è la giornata internazionale dell’infermiere. 

La giornata comincia presto, tutto segue il ritmo naturale del sole, alle 5:30 comincia ad albeggiare, e non per nostra scelta, ma a causa delle tende un po' sottili (ci stiamo lavorando su) alle 6:30 in casa c'è luce manco fosse mezzogiorno. Così volenti o nolenti anche non puntando chissà quale sveglia è la natura a dirti che è ora di cominciare la giornata.

Colazione, e sí, di solito altra domanda gettonata è "ma cosa mangiate?" Beh..spiace deludervi ma non andiamo avanti a banane e papaya. Abbiamo biscotti, pane, marmellata, buonissimo burro di arachidi fatto proprio qui in missione, di quelli che poi quando ne assaggeremo uno commerciale non ne riconosceremo neanche il gusto...caffè, latte, porridge. Insomma non ci facciamo mancare niente.

Alle 7:15 mi ritrovo con tutto il personale dell'ospedale proprio al centro di questo, dove vi è un giardino bellissimo, ora posto a memoriale di Marilena e Luisa. Qui comincia la devotion, momento di preghiera comunitaria, rigorosamente in lingua locale, seguito dagli avvisi e dagli aggiornamenti del giorno, se ce ne sono.

Dopodiché ci si mette in fila, aspettando di igienizzarsi le mani e monitorarsi la temperatura prima di entrare in ospedale.

Per ora mi è richiesto un periodo di orientamento, in cui starò due settimane in ogni reparto, rispettivamente medicina donne, medicina uomini, pediatria e pronto soccorso.

Nell'ospedale c'è anche la maternità, la sala operatoria, la clinica O/I, specifica per i pazienti affetti da Aids e l'ambulatorio dentistico.

Si procede quindi con un passaggio di consegne con l'infermiere notturno, seguito sempre dal "fisical round", che consiste nel giro letto per letto a vedere i malati. Da qui parte la giornata che è scandita dall'igiene delle guardiole e dei pazienti, dal giro visita con il medico e i successivi lavori post visita, medicazioni, prelievi, terapie, e proprio quando meno te lo aspetti e magari sei impegnato in tutt'altro arriva il ricovero e poco spesso le condizioni sono tali da poter soprassedere e continuare ciò che stai facendo.

 

Descritto così il lavoro può sembrare simile al nostro, ma in realtà ogni giorno si combatte contro la scarsità di materiale, la mancanza delle medicine, che proprio per quel paziente appena arrivato, sono essenziali. E questo perché in un sistema in cui la sanità è privata, il paziente paga un fisso per ogni giornata di ricovero, ogni catetere, ogni set di fleboclisi, ogni farmaco o trattamento medico. In un sistema dove non esistono tasse o ticket l'ospedale deve pagare ogni cosa e anche se tu che stai leggendo non mastichi nulla di materia sanitaria non ci vuole una laurea per capire che le spese sono elevate e difficili da sostenere.

In questa sconcertante realtà il Luisa Guidotti Hospital si impegna a mantenere i prezzi competitivi e bassi per venire davvero incontro al bisogno della popolazione, in questo scenario tragico, quando al Luisa Guidotti manca un farmaco che serve a qualcuno, tutto il sistema si muove per recuperarlo.

Lavorare qui è gratificante e devastante allo stesso tempo.

Mi fa sperimentare la grazia quando ogni giorno riscopro e consolido il sentimento che mi ha mosso verso questa professione.

La mancanza mi fa scoprire l'ingegno necessario di fronte all'assenza di quel dispositivo o materiale che ti serve, e che ti porta quindi a capire come puoi fare comunque ciò che devi con quello che hai.

La frustrazione sale e mi colpisce come un pugno nello stomaco ogni volta che mi ritrovo di fronte alla possibilità che non possiamo concedere a quella vita che ci passa fra le mani.

La rabbia monta e mi disarma mentre realizzo quanto spreco c'è negli ospedali occidentali, di quanti prodotti abusiamo e quanti soldi spendiamo inutilmente, quando c'è chi dall'altra parte del mondo che non ha nemmeno la possibilità di avere un farmaco.

Le emozioni sono tante, si mescolano, si alternano e riempiono ogni cellula del mio corpo, mentre cammino per tornare a casa dopo l'ennesima giornata passata in ospedale lo sguardo è basso e assorto in questo caos di pensieri, noto che sabbia rossa colora le mie scarpe blu da lavoro. Che fatica ora immaginarsi percorrere i puliti e immacolati corridoi del Bufalini.. questa quotidianità è densa e lontano anni luce dalla visione capitalista e aziendalista a cui sono sempre stata abituata.

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Tutto questo mi cambierà? Riuscirò ad essere una professionista consapevole e migliore domani? Riuscirò a trasformare questo vissuto e le emozioni che lo caratterizzano in fuoco per battaglie giuste e imparziali?

Non lo so, so che essere qui è una fortuna ma è anche una grande responsabilità, la responsabilità di chi ha visto e toccato con mano la miseria umana e che deve fare risuonare questa voce forte, perché possa essere sentita anche da chi è lontano anni luce da tutto questo, fisicamente e col cuore.

Ripenso ad un anno fa, intenta a riflettere sul significato personale che davo a questa giornata mentre mi “lasciavo alle spalle” i duri mesi in Sub-intensiva Covid, quante cose sono cambiate.

Spero che dovunque sceglierò di lavorare domani, mi ricorderò delle mie scarpe ricoperte di sabbia rossa, del sole che tramonta e che colora di rosso tutto l'ospedale, della speranza imbevuta di amarezza che accompagna ogni orma che lascio su questo sentiero. 

Se volete leggere di più su ciò che si cela dietro gli interessi mondiali che riguardano il settore sanitario e soprattutto su come si può costruire una sanità eccellente nel terzo mondo consiglio:

Gino Strada – Una persona alla volta