Alla ricerca del mio posto nel mondo

Anche questa settimana scegliamo di condividere un'altra storia, differente ma legata alla nostra.
Matteo, come Anna e Gabriele, come me e Claudio, non si è accontentato di ciò che, seppur splendido, la vita facilmente gli offriva.
Ha continuato a domandarsi, a mettersi alla prova, guidato dal desiderio di essere, non solo come individuo, ma all'interno della collettività, mettendo a disposizione le sue competenze e la sua persona per gli altri.
Non voglio tediarvi ulteriormente e lascio a lui raccontare il suo percorso...buona lettura!

Leggi, sogna, e cerca il tuo posto nel mondo. Questo hanno deciso di scrivere Federica e Claudio nella prima pagina del loro blog, quindi partirò da qui. Ovviamente non è una scelta casuale, niente lo è quando fai una scelta come quella che hanno fatto loro. Perché hanno scelto questa frase dunque? Beh, per saperlo dovremmo chiederlo a loro, però io la interpreto così: questa frase rappresenta un percorso, di cui quelle sono le tre tappe principali.
Leggere è un modo di ascoltare, che è la metà (più difficile) del comunicare. Qualcunә scrive, e qualcun altrә legge quello che è stato scritto. Quando leggiamo siamo espostә a nuove idee o pensieri, che magari non possiamo vivere o conoscere direttamente, o ai quali non avremmo mai pensato. Oppure ci facciamo trascinare in un’avventura, come nel caso di un romanzo. In entrambi i casi, questo è un primo passo per spostare il nostro baricentro verso l’esterno, verso qualcosa che è altro da noi: non abbiamo bisogno di leggere la nostra storia, la sappiamo già. Se leggiamo, leggiamo di altro. Di solito una persona che legge è curiosa.
Sognare è la tappa successiva, l’immaginare di riuscire a fare cose impossibili, di andare almeno col pensiero in posti dove non siamo mai stati, o di essere in un mondo dove la realtà è diversa da quella a cui siamo abituati. Nei sogni incontriamo e parliamo con persone che magari sono lontane o non più tra noi. A volte voliamo o abbiamo altri superpoteri. I sogni sono sempre un po’ confusi, mischiano cose che vediamo, sentiamo, viviamo o immaginiamo. Oppure che leggiamo. Ed allora ecco come leggere può aiutarci a sognare.
Cercare il proprio posto nel mondo è l’ultima tappa di questo percorso, ed anche questo credo abbia a che fare con la curiosità, gli stimoli ed i sogni che abbiamo. Credo che una persona possa stare ovunque nel mondo ma il suo posto è uno solo, quello più vicino ai propri sogni. Per alcunә il proprio posto nel mondo è quello dove si è natә, per altrә può essere lontano migliaia di chilometri.
Sia io che Federica che Claudio siamo avidi lettori. Probabilmente è solo una coincidenza, però mi piace credere che è anche per questo che loro ora si trovano a fare volontariato a Mutoko, in Zimbabwe e io a lavorare per una ONG a Kirkuk, in Iraq. In ogni caso, tutti e tre stiamo cercando il nostro posto nel mondo.

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Un anno fa di questi tempi avevo appena finito un dottorato in scienza dei materiali in Svizzera. Un percorso di quattro anni iniziato con tantissimo entusiasmo e finito sull’orlo dell’esasperazione e della demotivazione più totale. Non per la routine lavorativa in sé, sicuramente molto interessante, o per l’ambiente e le persone, che intellettualmente mi hanno sempre stimolato molto. Quanto per la sua finalità. La ricerca per sua natura è a medio-lungo termine e spesso, nella sua forma più pura e non applicativa, fine a sé stessa. Non ho nulla contro questa idea, semplicemente nel tempo ho capito che non è ciò che fa per me, almeno non a questa età. E dunque alla fine del dottorato, che ha coinciso con il simbolico raggiungimento dei 30 anni, mi sono detto che volevo d’ora in poi fare qualcosa che mi motivasse ed in cui credessi, e la scelta di dirigermi verso il settore dell’aiuto umanitario è stata quasi ovvia a quel punto.
Non così ovvia dal punto di vista professionale forse, come non è stato mancato di farmi notare. Sono anche arrivato a pensare di avere una certa responsabilità nel dover seguire la carriera in cui ero diretto fino a quel momento, visti i sacrifici e i costi a cui aveva portato, per me e per chi mi ha sostenuto (dai miei genitori, per fare l’esempio più semplice, al sistema educativo, più in astratto), altrimenti a cosa era servito tutto ciò? Eppure alla fine mi sono convinto che tutto ciò sì era servito, ma non tanto per la carriera quanto per essere ora nella privilegiata condizione di poter scegliere cosa fare in futuro. E allora ho capito di avere una responsabilità ancora più grande: quella verso la mia felicità, che non sarebbe venuta proseguendo in quella direzione. E quella verso la fortuna che ho avuto, mentre altri no, di essere in un luogo ed all’interno di un contesto che mi hanno offerto e offrono tantissime possibilità.
Con questo in mente, la scelta sì che è stata ovvia. Due bussole nella mia vita sono sempre state la curiosità e l’interesse per ciò che è diverso e l’empatia nei confronti dei più svantaggiati, di chi nella vita non gode delle stesse possibilità (e a volte diritti) di cui godo io. La curiosità e il desiderio di scoperta mi hanno portato nel corso degli anni a viaggiare, vivere in svariati paesi, imparare lingue, avere relazioni con persone anche molto diverse tra loro, e da me. L’empatia verso i più svantaggiati e il mio idealismo invece mi hanno sempre portato ad incazzarmi quando vedo delle ingiustizie e, limitatamente alle mie possibilità, a cercare di porvi rimedio, o quantomeno a farle notare.
L’intersezione ideale di tutto ciò per me si trova nel volontariato. Volendo unirci anche il bisogno di mangiare, altro interesse da non sottovalutare, allora la trovo in un lavoro nel settore dell’aiuto umanitario. E il paese in cui risiedo, la Svizzera, è sicuramente il paese di riferimento per questo settore. Mi sono detto quindi che la congiuntura era propizia, si trattava solo di mettersi in discussione, fare questo cambiamento, e vedere dove mi porterà. Dopotutto si tratta di cercare il proprio posto nel mondo, mica di trovarlo.

SegnalibrojpgChi mi ha regalato questo segnalibro la sapeva lunga, è scritto anche in arabo…

Un anno dopo la fine del mio dottorato sono dunque arrivato a Kirkuk, al centro di quelli che vengono chiamati i territori contesi dell’Iraq. Se c’è una cosa da sapere su Kirkuk è che si stima che il 4% del petrolio mondiale sia qui sotto, e quindi ovviamente tutti vogliono appropriarsene. L’immagine tipica di Kirkuk ha sullo sfondo le alte colonne di fuoco date dal gas che viene estratto insieme al petrolio e che gli iracheni non hanno tecnologie per sfruttare e quindi bruciano, in un processo che si chiama flaring. Colonne di fuoco alte una ventina di metri, di un colore arancione vivo, che anche di notte illuminano a giorno, e che tutte le volte che arrivo qui sono diventate il mio riferimento dall’aereo per sapere che mancano 15 minuti all’atterraggio.

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Flaring nei giacimenti petroliferi di Kirkuk. Non solo è visibile dall’aereo, ma anche dallo spazio!

Il mio lavoro da quando sono qui consiste nel provvedere assistenza a persone sfollate e migranti di ritorno, cioè le persone che sono dovute scappare, o che sono scappate e ora sono potute (o dovute) tornate nei loro villaggi di origine, spesso però ridotti soltanto ad un cumulo di macerie. Ma scappate da cosa? I dettagli della storia recente dell’Iraq si possono trovare su internet, ma diciamo che dal 1980 il paese è ininterrottamente o in guerra o sotto embargo, e l’ultima guerra è stata quella terminata nel 2017 contro l’ISIS. Una guerra casa per casa, villaggio per villaggio, in cui la tecnica più adottata per avanzare erano bombardamenti aerei o di mortaio, e da qui i cumuli di macerie che dicevo prima. Le zone dove portiamo assistenza sono quelle in cui si è combattuto fino all’ultimo e dove la gente ha ricominciato a tornare solo recentemente. A tutto questo si aggiunge ovviamente la pandemia iniziata nel 2020.
È in questo contesto che conosco il team, un gruppo di ragazzi e ragazze più o meno della mia età, anno più, anno meno. Il fatto di avere la stessa età aiuta molto a legare ed a rendere tutto ciò molto più vicino, più vero. Il mio primo giorno di scuola, a metà settembre del 1997, con il grembiulino azzurro tutto pulito, accompagnato dai miei genitori fino all’ingresso delle scuole elementari nella piazza del mio paese, cosa faceva Hazha, ora seduta nella scrivania accanto alla mia, che era appena nata ma era nel mezzo di un embargo in cui non si trovava neanche il latte in polvere per i neonati? Oppure penso a maggio del 2003, quando facevo la cresima, gel nei capelli e tunica bianca, rituale in chiesa e pranzo al ristorante dopo con la famiglia, e il regalo del mio primo cellulare, l’aspetto della cresima sicuramente più importante per me. Mi chiedo cosa stesse facendo quel giorno Ali, l’altro mio compagno d’ufficio, mia stessa età, quando un mese prima la grande statua di Saddam Hussein nella piazza centrale di Baghdad era appena stata abbattuta, ponendo fine a 24 anni di dittatura ed inizio ad altri 10 anni di incertezza? O per esempio mi ricordo di gennaio del 2014, quando io mi trasferivo a Londra per lavorare come cameriere ed imparare l’inglese, nel mio primo vero viaggio all’estero, quello nel quale ero partito pensando che sarebbe stata una cosa temporanea e dal quale di fatto non sono più rientrato. Non posso immaginare a cosa pensasse a gennaio del 2014 Ahmed, anche lui allora con 23 anni ancora da compiere, avendo sentito che l’ISIS aveva appena conquistato Tikrit, ad un’ora di macchina da Kirkuk dove è nato, cresciuto e viveva con tutta la sua famiglia.
Potrei continuare, ma il concetto è chiaro. Quello che mi rimane tuttora meno chiaro è fino a che punto esperienze simili possano cambiare una persona. Vedendo la distruzione ovunque per le strade, la mancanza di istruzione, la povertà estrema, l’insicurezza rispetto al futuro (inteso come il mese prossimo, non come i prossimi anni), mi sono subito fatto la stessa domanda che mi feci dopo un paio di giorni nel nord dell’Uganda, ormai quasi sei anni fa. Cosa sognano le persone nate e cresciute in un contesto simile? Ancora non ho la risposta, ma questa è un’ottima ragione per continuare a cercare.
E venire qui, sul terreno come si dice nell’ambiente, è un altro modo di cercare, il mio preferito sicuramente. Mi permette di immergermi in questa realtà e farmi permeare dalle sue genialità e dalle sue incoerenze, con l’idea di cercare almeno di riconoscere il più possibile i pregiudizi che ho. Tante volte ci si chiede cosa ci sia di differente in un altro paese, in questo caso parecchio diverso come l‘Iraq, e dalle domande che ricevo più spesso direi che i dubbi più grandi riguardano il cibo, il meteo e la lingua. Questi sono sicuramente problemi veri, ma io personalmente qua ho trovato altre difficoltà che erano meno ovvie da prevedere, per esempio inserirsi in una struttura sociale completamente diversa e fortemente gerarchica, oppure capire l’importanza della tradizione e della religione islamica nella società, ed infine abituarsi all’insicurezza con cui si guarda al futuro prossimo, e per cui nella vita conta solo l’oggi, e a domani ci penseremo, inshallah. Secondo me queste, insieme a molte altre sicuramente, sono alcune delle vere differenze tra la cultura da cui provengo e la cultura in cui mi trovo ora. E queste per me sono le più difficili a cui abituarsi, molto di più del meteo, del cibo, della lingua. Ma sono anche le più interessanti, quelle che poi demoliscono i pregiudizi.
Insomma, lavoro nel settore dell'aiuto umanitario per una ONG svizzera. Non lo faccio perché credo di poter cambiare certe cose che sono strutturali e che comunque non spetta a me in quanto volontario o ad una ONG cambiare, lo faccio in buona parte per cercare di portare assistenza e soddisfare i bisogni primari di persone che semplicemente hanno perso tutto. E sarei contento di poterle aiutare a ritrovare anche solo la speranza.
Speranza che è sempre un'illusione, ma un'illusione positiva e con un potere enorme. Ciò che abbiamo fatto più di frequente con la ONG per cui lavoro è stato cercare di migliorare le possibilità educative dei bambini, riqualificando scuole, donando libri e materiale scolastico, offrendo lezioni supplementari nei weekend. E chissà che, partendo da qui, anche solo ad unә di questә bambinә non venga la curiosità di leggere, sognare e cercare il proprio posto nel mondo.